"Il testamento dell'appestato"

Leggende: "L'ultimo degli appestati" e "Il testamento dell'appestato"

Il nostro "viaggio" attraverso le leggende delle Giudicarie Centrali prosegue nel paese di Ragoli e, per la precisione, nelle località di Iròn Cerana... 

Entrambi sono luoghi molto cari agli abitanti della frazione del comune di Tre Ville che oggi riunisce Ragoli, Montagne, Preore e Palù di Madonna di Campiglio.

Ad accompagnarci è Rudi Scalfi "Baito" che, ormai da anni, ha raccolto il testimone dal padre Paolo, appassionato di storia locale e non solo.

«Mio padre - spiega Rudi - ha sempre nutrito interesse nello studiare il passato dei nostri paesi. Così abbiamo deciso di riunire tutti i suoi libri all'interno di un archivio a lui intitolato, situato nella sede della Comunità delle Regole Spinale Manez». 

Un luogo quest'ultimo che è possibile visitare contattando il suo "custode", Rudi Scalfi o gli uffici della Comunità delle Regole Spinale Manez.

Grazie al lavoro di Paolo Scalfi è dunque possibile rileggere i testi... ma non solo: «Mio padre - prosegue Scalfi - era abituato ad annotare le sue precisazioni che, per quanto riguarda le Giudicarie, non mancano di certo».

Ed è questo il caso delle leggende locali che riportiamo di seguito: "Il testamento dell'appestato" e "L'ultimo degli appestati".

«Si tratta - sottolinea Rudi - di due leggende che collegano lo spopolamento di questi piccoli paesi agli anni della peste. La famosa peste del '600, quella descritta da Manzoni nei Promessi Sposi».

Un periodo difficile anche per i giudicariesi che videro la propria popolazione decimata.

«Per quanto riguarda la leggenda de "L'ultimo degli appestati" i fatti sembrano contraddire, se così possiamo dire, il testo stesso - commenta Scalfi - nel senso che probabilmente, anche se si mette in dubbio che Iròn si sia spopolato dalla peste è più probabile che alcuni abitanti in realtà, come è successo in altre località, fossero andati lì per evitare il morbo».

«La storia - aggiunge Scalfi - ci dice che il paese non fu interamente abbandonato che nei primi del '700. Dopo quel periodo infatti si riportano denominazioni solo sull’estate mentre l’inverno veniva "lasciato" per scendere alle contrade». 

Una pratica "usuale" per tutte le zone montane abitate nei mesi estivi per la monticazione e lasciate libere in quelli più duri e freddi.

Un tema dunque che fa riflettere anche per altri motivi «come ha segnato mio padre nei suoi libri - conclude Scalfi - ci sono alcune imprecisioni che lasciano pensare che anche nel caso di Iron i riferimenti siano in realtà a Cerana dove viene riportata una leggenda simile "Il testamento dell'appestato"».

Adesso però, lasciamo che a raccontare siano le leggende stesse...

L'ultimo degli appestati

Quando la terribile pestilenza dei 1630 - la stessa descritta così bene dal Manzoni ne "I Promessi Sposi" - s'abbatté anche sul Trentino, la gente dei villaggi venne colta alla sprovvista dal morbo letale. A migliaia morirono imprigionati nelle loro case, isolati dal resto del mondo, perché in tal modo avevano pensato di scampare al pericolo: infatti le valli vennero presidiate agli imbocchi; ai crocicchi le guardie bloccavano e rimandavano indietro i sospetti portatori del male e si preferiva passare per le armi coloro che si ribellavano, piuttosto che correre il rischio di veder propagarsi l'epidemia. Eppure la peste riuscì a superare anche barriere più impenetrabili e raggiunse perfino i paeselli e i villaggetti più isolati. Fu il caso di Irone, quattro case in tutto all'inizio della Val d'Algone: in pochissime settimane la popolazione, già scarsa di per sé, venne falcidiata, tanto che alla fine rimase in vita un solo superstite, ridotto al compito di guardiano dei morti. Un giorno, trascinatosi con le ultime forze sulla cima del Doss dei Copi, chiamò a gran voce la gente che abitava di sotto, supplicandola di convocare un notaio. Fu accontentato e così gridò ai quattro venti il suo testamento, lasciando precise disposizioni per il futuro della sua casa e dei campi. Ma fu un gesto inutile: per sua fortuna il morbo scemò all'improvviso, così come all'improvviso era esploso, e l'uomo ebbe salva la vita. Anzi toccò a lui l'onore di contribuire alla rinascita dei paesi vicini, non di Irone, che da quell'anno fu abbandonato dagli uomini, anche se non da Dio.

Il testamento dell'appestato

Era rimasto solo lui, a presidiare le case di Cerana soffocate dalla peste, ma non sapeva cosa fare: scappare non era possibile, l'avrebbero bloccato all'ingresso di Preore e rimandato indietro a morire da solo tra i suoi morti. Pregare Iddio, certo, gli era di sollievo, ma anche così facendo la paura del morbo non diminuiva per nulla. Chiudersi in casa e attendere che tutto si compisse, forse, era l'unica soluzione. E l'uomo decise: prese dalla piccola sagrestia un foglio di carta e scrisse con poche e semplici parole il suo testamento. «Lascio ogni mio avere, la casa, i campi e l'orto, nonché le bestie che sopravvivranno alla pestilenza, alla buona gente di Vigo, Bolzana e Fàvrio. Sappiano loro farne buon uso, per venire incontro alla miseria dei poveri e alla solitudine dei vecchi». Poi arrotolò il testamento, lo legò alla bell'e meglio con una cordicella di canapa e gettò il tutto da una roccia, affinché venisse raccolto dalla gente che viveva di sotto. Quindi raggiunse il suo giaciglio, si sdraiò e chiuse gli occhi, restando in attesa della fine, che sentiva ormai vicina.

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