La cucina dei 5 sensi

Autore: Alberta Voltolini

Sarà stato il richiamo delle Dolomiti a fermare, dopo tanti viaggi tra l’Italia, le Americhe e l’Oriente, lo chef Giovanni D’Alitta ai piedi del Brenta?

D’altra parte le guglie delle Dolomiti lucane sono un ricordo che appartiene alla sua infanzia in Basilicata, oggi ritrovato e amplificato nella cattedrale di roccia delle Dolomiti trentine. Da tre anni, D’Alitta griffa i piatti della Stube Hermitage, il ristorante che per primo, nel 2008, ha indossato la Stella Michelin a Madonna di Campiglio. Mantenuto fino al 2014, il riconoscimento simbolo, in tutto il mondo, dell’alta cucina, è stato riconquistato a novembre 2018. Una cena in questa stube originale del primo Novecento, disegnata all’interno del Bio hotel Hermitage, è un viaggio sensoriale tra i prodotti locali, comprese le erbe spontanee e commestibili di montagna, che originalmente si accordano con il fascino di culture vicine e la seduzione di note orientali. Il risultato? Un’armoniosa e originale sinfonia di gusti, consistenze, colori e profumi che mai eccede e sempre gratifica.

Oggi Madonna di Campiglio è un unicum tra le destinazioni turistiche di montagna: 3 ristoranti stellati concentrati in un villaggio alpino.

La Stube Hermitage è il successo finale di un percorso, come altri sbocciati a Campiglio negli ultimi quindici/vent’anni, finalizzato a ritagliarsi un posto in prima fila tra i ristoranti d’alta cucina in alta quota. Una famiglia storica di albergatori del posto – Giacomino Maffei con la moglie Edda e le figlie Barbara e Marcella – è l’artefice di questo disegno che si distingue per bellezza e buon gusto. È il Duemila quando trasformano l’accogliente pensione Hermitage in un prestigioso quattro stelle, tra i primi eco hotel sulle Alpi. Passa qualche anno e nel 2006, in uno spazio interno vestito di charm ed eleganza, aprono il ristorante aperto anche agli esterni.


Incontriamo Barbara Maffei in una giornata d’autunno e di sole. L’hotel è chiuso, dicembre è lontano, ma all’interno c’è già profumo di Natale. In angoli selezionati del living e del ristorante decorazioni-gioiello e raffinati luccichii prendono il loro posto seguendo un rito famigliare che si ripete ogni anno.
“Per noi l’aspetto più importante – racconta Barbara Maffei – è la storia di famiglia, quindi la familiarità e l’impegno da parte nostra che trasformiamo in emozioni per gli ospiti. Desideriamo dare valore e continuità al percorso iniziato da nonna Camilla, che era un’impareggiabile cuoca, e proseguito poi con mio padre”.

La stella Michelin vi ha consegnato la chiave per entrare nel gotha dei ristoranti più apprezzati e ricercati delle Dolomiti.

Qual è stato il contributo degli chef?

Claudio Melis è stato il più creativo in assoluto. Non dormiva la notte per pensare e decidere gli abbinamenti. Con lui abbiamo gettato le basi per arrivare alla stella che abbiamo conquistato con Paolo Cappuccio, lo chef che ha azzardato di più. È stato lui a portare pesce e crostacei in montagna. A seguire, il giovane Nicola Laera, allievo di Norbert Niederkofler, mentre ora la firma è di Giovanni D’Alitta. Lo stereotipo degli chef-star di oggi non corrisponde a Giovanni, che è ambizioso, ma si concede il tempo per raggiungere i risultati. Direi che la sua cucina è più moderata e se dovessi fare un paragone trovo le sue proposte più vicine a quanto ho visto fare da Laera. Nei suoi piatti, sempre gourmet e creativi, c’è un richiamo alla tradizione, un’attenzione particolare alla riscoperta dei prodotti locali e una ricerca inedita sulle erbe commestibili di montagna”. 

Il suo motto è “Noi da soli non siamo nessuno, ma insieme possiamo arrivare ovunque”.

Oggi, ancora stellati. La qualità e il lavoro nel tempo vi hanno premiato, dunque.

“Per tutto quanto descritto sopra e altro ancora, a novembre 2018 ci è stata nuovamente assegnata la Stella Michelin e quindi siamo già nella nuova Guida 2019. Per tutti noi è una grande soddisfazione. Gli ospiti che arrivano dall’estero ci raggiungono anche perché seguono la stella. L’ospite chic – conclude Barbara Maffei – non sceglie un ristorante senza riconoscimenti e più arriva da lontano più garanzie cerca” 

Dal 2008 al 2014 la Stube Hermitage è stata, con lo chef Paolo Cappuccio, il primo ristorante di Campiglio insignito di 1 Stella Michelin. Nel mese di novembre 2018, alla Stube Hermitage con lo chef Giovanni D’Alitta à stata nuovamente assegnata 1 Stella.

Lo chef Giovanni D'Alitta

Originario di Lavello, in Basilicata, Giovanni D’Alitta compie le prime esperienze lavorative sul Lago di Garda prima di mettersi alla prova presso “Aimo e Nadia”, ristorante 2 Stelle Michelin a Milano e poi al “Capriccio” di Manerba sul Garda, 1 Stella Michelin. Dopo un breve passaggio al “Canto della Certosa” di Maggiano, attratto dalla montagna entra nel team della “Siriola” (2 Stelle Michelin) dell’Hotel Ciasa Salares a San Cassiano. Nel 2010 la grande svolta. D’Alitta vola ad Antigua e raggiunge il “Rosewood Resort” di Jumby Bay. Qui, in quello che è uno dei più lussuosi resort al mondo, rimane due anni contribuendo all’apertura del nuovo ristorante d’autore italiano, l’“Estate House”. Nel 2013 arriva la chiamata da Dubai e D’Alitta si unisce al gruppo “Jumeirah” aprendo come chef di cucina il ristorante “Alta Badia Dubai” al cinquantesimo piano delle Jumeirah Emirates Towers, iconiche torri gemelle della città. Il resto è il “capitolo Campiglio”, storia di oggi.

Parola allo chef!

Quando ha capito che la cucina sarebbe stata non un semplice lavoro, ma la passione della vita?

"La passione per il cibo l’ho ereditata dalle cuoche che cucinavano a scuola quando ero piccolo, dal profumo che usciva dai pentoloni, dalla mia terra, dai prodotti poveri e genuini, rispettandone e apprezzandone la stagionalità. Poi, la curiosità mi ha spinto a conoscere altre cucine regionali e del resto del mondo."

La sua cucina è particolarmente apprezzata perché riesce a rispettare e valorizzare la tradizione all’interno di un percorso creativo. Ci può spiegare meglio?


"Il passaggio al mondo del lavoro mi ha trasmesso la tecnica e l’esperienza insegnato i metodi da utilizzare: quelli di una volta oppure moderni per alleggerire diminuendo in grassi e zuccheri. In questo modo riesco a rispettare la materia prima creando un piatto che identifichi un viaggio di conoscenza, che non dovrà mai appesantire, e a sorprendere il cliente quando entra al ristorante e si siede a tavola."

Valorizzazione degli ingredienti, quindi, ma senza mai eccedere...

"Evito le eccentricità troppo spinte. In cucina il gusto deve arrivare fino in fondo, senza dimenticare bellezza e salubrità. Credo molto anche nel lavoro di squadra, in cucina va creata la giusta atmosfera."


Ci racconti il significato della sua cucina in poche parole.

"Quotidianamente cerco di trasformare la passione della cucina in armonia gustativa e visiva. L’attenzione alla scelta del prodotto è la fase principale della creazione dei miei piatti, nei quali mi propongo sempre di inserire il territorio dove lavoro, l’Italia e un pò di estero. Nella mia cucina non c’è l’intento di stupire, ma piuttosto quello di creare un’emozione e una memoria. La memoria del buono e semplice, con quel tocco di creatività che mi appartiene e che fa parte del mio stile di vita."

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