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La chiesa di San Vigilio

Autore: Licia Salucci

Uno scrigno di arte e storia

Storia e segreti della Chiesa di San Vigilio a Pinzolo, meta, ogni anno, di migliaia di visitatori che amano l’arte e la storia.

L’antica chiesa racconta“L’antica chiesa racconta”: così si intitola l’ultimo libro che Giuseppe Ciaghi, esperto storico locale e profondo conoscitore del genius loci, ha dedicato alla Chiesa di San Vigilio di Pinzolo. Sì, perché si tratta di un vero e proprio racconto per immagini quello che l’edificio sacro presenta all’osservatore, più o meno attento, che abbia voglia di soffermare lo sguardo sulle immagini che ornano l’esterno e l’interno della chiesa. Un racconto animato da figure, cartigli, strofe, simboli e rimandi storici che dal XVI secolo è lì, a vegliare la conca della Val Rendena, l’antico territorio di Sopracqua, e ad ammonire chi passa davanti alle proprie mura, dai viandanti del Rinascimento ai turisti di oggi.

Un messaggio universale e senza tempo, che il grandioso affresco di Pinzolo rinnova ogni giorno e che ognuno di noi, in questi tempi di spinto individualismo, farebbe bene a tenere a mente.

L’Architettura e gli affreschi

Le tracce delle precedenti realizzazioni sono ancora visibili all’interno della chiesa, dove lastre di granito inglobate nel pavimento indicano l’antico perimetro dell’edificio, antecedente agli ampliamenti del Cinquecento; allo stesso modo, il limite dell’intonaco sulle pareti mostra la forma “a capanna” della prima architettura. Il tetto, a capriate e rivestito esternamente di scandole di larice tagliate a mano, con larghe falde, è l’elemento costruttivo che ha permesso agli affreschi esterni della parete meridionale di conservarsi e di resistere alle intemperie e ai secoli. Nonostante la parete fosse affrescata dalla base fin sotto il tetto e siano visibili, seppur sbiaditi o in parte coperti, resti di affreschi precedenti al XVI secolo, ad oggi il ciclo pittorico che domina lo spazio e che ha reso famosa la chiesa è la “Danza Macabra”, anche detta “Ballo della Morte”.

“Io sont la morte che porto corona / Sonte Signora de ognia persona [...] Et son quela che fa tremar el mondo / revolgendo mia falze atondo atondo / O vero l’archo col mio strale / Sapientia beleza forteza niente vale / Non è signor madona ne vassallo / Bisognia che lor entri in questo ballo."

LA “DANZA MACABRA”Iconografia diffusa nell’Europa Settentrionale e Centrale, la “Danza Macabra” rimanda ai “sentimenti di paura e di turbamento che hanno attraversato il Medioevo e Rinascimento” e, contestualmente, al bisogno di uguaglianza, di giustizia e di libertà che, almeno di fronte alla morte, i ceti più poveri della popolazione potevano rivendicare nei confronti delle classi agiate e dominanti. L’autore del ciclo è il pittore Simone Baschenis di Averaria, appartenente alla famiglia di frescanti lombardi che portavano in giro la loro arte sulle Alpi lombarde e fino alle valli del Trentino: pittori itineranti, quindi, che offrivano i loro servigi alle comunità delle montagne, realizzando pitture immediate, comprensibili, dirette. Il più famoso è appunto il nostro Simone che in Val Rendena e nelle Giudicarie ha decorato numerosi edifici sacri, lasciando però il segno con la “Danza Macabra” di San Vigilio a Pinzolo e quella di Santo Stefano a Carisolo. Uno stile, quello di Simone, che richiama le atmosfere tardo medioevali ma con un deciso sguardo alle conquiste del Rinascimento, in termini di proporzioni, di uso del colore, di potenza delle figure: termini artistici che, se nella “Danza Macabra” sono quasi messi in secondo piano dalla solennità del tema, all’interno, nel ciclo di San Vigilio e nella splendida figura di San Giovanni Battista (sulla parete nord alle spalle dell’altare votivo dedicato a San Rocco) sono assolutamente evidenti.


Il “Ballo della Morte”In vita puoi essere un Papa, un principe o un semplice contadino, non importa niente di tutto ciò quando si giunge al momento finale. È la Morte che comanda, che livella tutto quanto, che rende tutti uguali: È con queste rime in volgare che ha inizio il “Ballo”, con la Morte che si presenta al mondo, allo spettatore e soprattutto ai “danzatori” che saranno costretti a ballare con lei, senza poter opporre nessuna resistenza. Poiché nemmeno il figlio di Dio, come si vede dalla prima immagine della teoria – la Crocifissione – è stato risparmiato dalla “Signora di ogni persona”, nessuno potrà mai avere una sorte diversa; gli scheletri, infatti, prendono per mano tutti i rappresentanti delle classi sociali dell’epoca e li conducono verso l’ineluttabile fine, danzando con loro al ritmo della musica suonata dall’orchestra, anche questa composta di scheletri. Ed ecco allora che si succedono, lungo i 22 metri del ciclo, il papa, il cardinale, il vescovo, il prete, il frate; dapprima quindi i rappresentanti del clero, ognuno abbigliato con le vesti tipiche del ceto e del ruolo: abiti ricchi e ricamati quelli dei prelati più alti, semplici e monocromi quelli degli altri, tutti comunque descritti con panneggi corposi, che trasmettono la fisicità dei personaggi. Segue poi il corteo dei laici, anche questi caratterizzati dal vestiario che già ad un primo sguardo rivela la loro posizione sociale: l’imperatore, il re, la regina, il duca, il medico, il soldato, l’avaro, il cavaliere, un uomo zoppo. L’ultimo gruppo è quello delle donne: la badessa, la bella donna, subito seguita da una anziana. Tutte le figure sono colpite dalla freccia della morte, ad indicare il loro imminente trapasso e sono condotte dallo scheletro compagno di ballo: con aria di derisione e di scherno quelle al fianco degli alti funzionari del clero e della società laica, più accomodanti e quasi con compassione gli scheletri che accompagnano i poveri, dipinti anche con tratti leggeri, quasi in trasparenza, ad indicare che per queste persone la morte non è un peso ma una lieve liberazione dagli stenti quotidiani. L’ultima figura del corteo è il bambino, l’unico a non essere stato colpito dalla freccia della morte: a lui è concesso ancora il tempo per crescere, per vivere e per dimostrare la propria indole prima di essere giudicato e, quindi, indirizzato al Paradiso o all’Inferno, come sta accadendo alle anime della scena successiva, dove San Michele e il demonio le destinano alla loro eternità. Al di sotto della Danza Macabra era dipinto il ciclo dei sette vizi capitali, visibili solo in alcuni tratti, a concludere e rinforzare il messaggio che i committenti degli affreschi volevano dare ai fedeli: “Dum tempus abemus operemur bonum” (“Mentre disponiamo del tempo cerchiamo di fare il bene”).

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